Biofilm batterico: tra novità e prevenzione
Le infezioni correlate all’assistenza ancora oggi rappresentano l’evento avverso più comunemente riscontrato nei diversi setting assistenziali (ospedale-territorio), nonostante l’ampio sviluppo di procedure, protocolli e linee guida.
Purtroppo, infatti, il divario tra la teoria e la realtà assistenziale pratica è notevole e l’impatto sul paziente e sulla sanità è tristemente allarmante: il National Institute of Health dichiara che tra il 60 e l’80% delle infezioni sono correlate alla presenza di biofilm, e si tratta di infezioni che secondo l’ISS (Istituto Superiore di Sanità) sono, per almeno il 30% dei casi, prevenibili.
La pandemia da COVID-19 ha ampiamente dimostrato lacune e criticità delle strutture sanitarie tali da renderle attive contribuenti alla diffusione di infezioni, con danni misurabili su pazienti, operatori sanitari e visitatori, ma soprattutto ha posto un accento sull’importanza della prevenzione nel controllo delle infezioni.
Cos’è il biofilm batterico?
Il termine biofilm è stato coniato, nell’ambito della microbiologia, agli inizi degli anni ’80 per indicare una comunità di microorganismi aggregata e cooperante, causa di infezioni devastanti e che presenta una elevata resistenza ai trattamenti; queste comunità batteriche sono state riscontrate per la prima volta in polmoniti di pazienti affetti da fibrosi cistica.
Alla luce delle più recenti scoperte sappiamo che i biofilm sono comunità di microorganismi mono o multispecie in grado di autoprodurre, una volta adesi ad una superficie (biotica o abiotica) una matrice polimerica extra-cellulare (EPS) costituita da DNA, RNA, enzimi, polisaccaridi e altre molecole che dipendono dall’ambiente in cui viene costituita e dalle specie batteriche coinvolte. L’EPS fornisce nutrimento ai batteri e ne garantisce una salda adesione alla superficie, ma soprattutto funge da barriera di difesa conferendo loro un’elevata resistenza agli agenti antibiotici e disinfettanti.
Le modalità di resistenza del biofilm agli antibiotici
A cosa, più nello specifico, è dovuta l’enorme resistenza agli antibiotici del biofilm?
Le modalità di resistenza sono molteplici, e nel tempo, grazie alle mutazioni geniche di resistenza messe in atto dai batteri stessi, ne sono state sviluppate di nuove: ad esempio, è stato evidenziato che spesso gli agenti antibiotici non riescono a permeare la membrana, o una volta dentro il biofilm non riescono a intercettare tutti i batteri, in quanto alcuni, diminuendo il proprio consumo di ossigeno e rallentando il metabolismo, risultano inattivi, come dormienti, in grado di sfuggire al controllo del biocida e continuare a replicarsi in brevissimo tempo.
I batteri in grado di creare un biofilm maturo sono ormai sia Gram-positivi che Gram-negativi: i più comuni sono l’MRSA, il Clostridium difficilis, Klebsiella Pneumoniae, Enterococchi resistenti alla vancomicina e Pseudomonas.
Conseguenze sul paziente
Le conseguenze sui pazienti sono molteplici e possono essere correlate o meno alla presenza di dispositivi invasivi:
- infezioni correlate all’uso di un dispositivo: infezioni del tratto urinario correlate a presenza di catetere vescicale a permanenza, polmoniti associate all’uso del ventilatore, infezioni da dispositivi cardiaci impiantabili, infezioni da accessi vascolari (CVC, PICC);
- infezioni non correlate all’uso di un dispositivo: parodontite, infezioni urinarie, infezioni delle lesioni di diversa eziologia, endocardite infettiva etc.
Come si forma il biofilm
Come si può notare dall’Immagine 1, l’adesione irreversibile sulle superfici da parte dei batteri in forma planctonica avviene già dopo pochi secondi o al massimo minuti, ed entro pochi giorni o mesi si ha una dispersione dei microbi in forma libera per garantire una colonizzazione secondaria su nuovi siti.
Un prerequisito cruciale per la formazione del biofilm è la presenza di un film condizionante, ossia un film sottile che si crea tra la superficie e l’ambiente in cui si accumulano liquidi e sostanze organiche ed inorganiche in essi disciolte. La formazione del film condizionante dipende in parte anche dalle proprietà strutturali della superficie stessa, tra cui la rugosità (una superficie con fissurazioni o porosità favorisce l’accumulo di materiale organico e inorganico), l’idrofilicità/idrofobicità (ovvero l’affinità all’acqua: tanto essa è maggiore tanto è più facile che la superficie assorba acqua e con essa materiale organico e inorganico), o ancora carica superficiale e tipo di materiale.
Diversi anni fa, si riteneva che il biofilm si sviluppasse solo in ambiente umido (ad esempio in corrispondenza di cateteri vescicali, drenaggi, lesioni), ma negli ultimi anni è stato riscontrato un tipo di biofilm diverso chiamato DRY-SURFACE BIOFILM (DBS), ossia Biofilm di Superficie Asciutta: ampiamente presente su pavimenti, superfici high-touch e quindi unità paziente (materasso, telo di copertura, sponde del letto, comodino, etc), questo tipo di biofilm si rivela abbondantemente presente in ambiente assistenziale. Le peculiarità di questo biofilm sono:
- la difficile identificazione, in quanto non rilevabili, in genere, mediante semplici tamponi;
- la sua maggiore resistenza agli agenti detergenti, disinfettanti, alla sterilizzazione e agli agenti antibiotici;
- l’estrema longevità: si è visto che, pur adottando le normali procedure di pulizia, i DBS sono in grado di sopravvivere fino a tre anni su una superficie.
Alcuni dati suggeriscono che una stanza contaminata da microrganismi organizzati in biofilm comporti per un nuovo paziente che vi soggiorna un aumento del 150-500% del rischio di contrarre la stessa infezione.
Nuove strategie contro il biofilm
Dalla letteratura più recente emerge che i disinfettanti a miglior performance sono l’ipoclorito di sodio e il perossido di idrogeno. Tuttavia, uno studio recente, analizzando l’efficacia dell’ipoclorito di sodio su superfici contaminate da Stafilococco Aureus, ha riscontrato che, sebbene il disinfettante sia stato in grado di ridurre la carica microbica, i batteri residui dopo pochissime ore erano in grado di replicarsi e ricreare il biofilm.
Un altro studio ha isolato alcuni composti anti-biofilm da fonti naturali: è stato scoperto che anche alcuni composti sintetici, agenti chelanti e antibiotici possiedono attività anti-biofilm anche se solo specie-specifica, come:
- la curcumina contro k. pneumoniae e elicobacter pylori
- i chitosani contro k. pneumoniae,
- l’argento contro P. aeruginosa, S. proteamaculans,
- lo iodio cadexomero (inibisce la sintesi di macromolecole e l’adesione delle cellule e la clorexidina (altera la permeazione della membrana) contro s. aureus e P. aeruginosa,
- poliesametilene biguanide contro p.aeruginosa
La ricerca farmacologica sta lavorando su additivi che interferiscono con le vie di segnalazione batterica [quorum sensing] o interrompono il DNA extracellulare, le proteine, i lipopolisaccaridi e gli esopolisaccaridi durante le prime fasi della formazione del biofilm (Lu et al., 2019; Ozcan et al ., 2019).
Lo sviluppo di superfici antimicrobiche può essere un altro possibile approccio per prevenire la formazione di biofilm. La loro azione consiste nel minimizzare o ostacolare l'adesione microbica. Superfici ingegnerizzate in grado di ridurre l'adesione e la proliferazione dei batteri consentirebbero non solo di prevenire la diffusione delle infezioni crociate, ma al tempo stesso anche di limitare l’uso di antibiotici e disinfettanti.
Sono, inoltre, state scoperte due principali strategie biomimetiche, ossia:
- superfici che respingono le cellule batteriche che riducono al minimo o azzerano del tutto l’adesione microbica
- superfici battericide che uccidono i batteri attaccati o che rilasciano agenti antibatterici come da Immagine 2.
Come combattere il biofilm
E dunque, quali sono le strategie concrete proposte per combattere il biofilm?
Il Centers for Disease Control and Prevention sintetizza il processo di prevenzione nei seguenti sei step:
Si prevede la strutturazione di programmi e protocolli specifici che prevedano:
- l’individuazione delle persone coinvolte e responsabili delle attività di sanificazione e disinfezione ambientale;
- la formazione in merito al processo di tutti gli operatori coinvolti in modo da responsabilizzare, coinvolgere e condividere;
- l’individuazione dei prodotti e delle tecnologie utilizzate; la formulazione di protocolli standardizzati setting-specifici e paziente-specifici;
- la realizzazione di audit a cadenza periodica per monitorare l’aderenza e per revisionare costantemente le procedure e la formazione del personale;
- la condivisione dei feedback e dei dati risultanti con il team perché si possano individuare eventuali criticità e possibili implementazioni.
In Italia, inoltre, esiste già una sentenza della Corte di cassazione del 2023 che riporta i requisiti di struttura e di processo di cui dare evidenza in caso di ICA, ossia, tra le altre:
- indicazione di: protocolli di sterilizzazione, disinfezione e disinfestazione di materiali e ambienti; delle modalità di gestione e disinfezione della biancheria; delle modalità di gestione dei dispositivi medici e della loro sanificazione; delle modalità di smaltimento dei rifiuti e dei liquami; del rapporto tra degenti e personale medico; dei criteri di accesso dei visitatori;
- obbligo di evidenza di: percorsi di sanificazione; percorsi identificazione di soggetti predisposti a verifiche di aderenza; possesso certificazioni;
- obbligo di stilare audit periodici e fatti presso fornitori terzi;
- procedure di controllo infortuni e malattie del personale, nonché le profilassi vaccinali;
- sorveglianza basata su dati di laboratorio e sistema di notifica;
- redazione di report delle direzioni dei reparti;
- altri obblighi e indicazioni su strumentazione, conservazione dei disinfettanti, qualità dell’aria e dell’acqua, distribuzione di pasti e bevande.
Conclusioni
Ma la domanda cruciale rimane: riusciremo mai a passare dalla teoria alla pratica, a debellare realmente il problema nella realtà di tutti i giorni al di là di ogni documentazione, ogni protocollo redatto?
Noi, come azienda da sempre impegnata nella prevenzione, abbiamo deciso di dare un contributo concreto a questa battaglia sfruttando nuove tecnologie e cercando di stare al passo con le sempre nuove necessità dei nostri pazienti.
Service Med e MedicAir, infatti, sono presenti capillarmente su tutto il territorio Nazionale con Centrali di sanificazione che garantiscono la detersione e la sanificazione di tutti i loro dispositivi mediante procedure e protocolli standardizzati e certificati da enti esterni. Nelle nostre centrali il personale coinvolto e appositamente formato sa riconoscere l’importanza e la svolta sostanziale che ogni singola propria attività ha sul paziente. Abbiamo scelto di utilizzare dosatori automatici di disinfettante con detergenti solidi per un minor impatto ambientale. Per la sanificazione dei prodotti il disinfettante selezionato è il Perossido di Idrogeno registrato DM IIb, scelto sulla base della revisione della più recente letteratura da cui si evince l’elevata efficacia antibatterica ad ampio spettro e, altresì, l’assenza di potenziale tossicità per operatori e pazienti.
Le nostre superfici antidecubito, inoltre, vengono fornite con cover di rivestimento, le quali ricevono preventivamente mediante saldatura ad ultrasuoni e radiofrequenza, trattamenti antimicrobici e antimicotici: una volta aderito sulla superficie il batterio, ne viene inibita la replicazione. Ciò considerando che il sistema antidecubito è una delle fonti primarie di raccolta di microrganismi a diretto contatto con il paziente stesso.
Sfruttando l’innovazione e le novità in ambito tecnologico l’azienda ha scelto di fornire un ulteriore strumento di supporto contro le infezioni crociate, inserendo all’interno della struttura molecolare della resina di ogni unità motore la tecnologia Autotex AM/Microban: tramite questa innovazione, la superficie sarà in grado di inibire la replicazione batterica e ridurne la carica a supporto di ogni fase di detersione e disinfezione effettuata, per tutta la durata di vita del compressore.
Insomma, i pazienti necessitano di un contributo concreto e reale, per noi non è più tempo di rimandare.
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