COVID-19 e lesioni cutanee: le evidenze scientifiche e le ipotesi per una prevenzione più efficace

COVID-19 e lesioni cutanee le evidenze scientifiche e le ipotesi per una prevenzione più efficace

Le lesioni da pressione (LdP) hanno un impatto significativo sulla mortalità, la morbilità e la qualità della vita dei pazienti, e rappresentano ancora oggi un’area estremamente debole del sistema sanitario.

La pandemia da COVID-19 ha puntato, ancora una volta, i riflettori su questa delicata questione, ponendo medici e operatori sanitari di fronte a nuove sfide anche per quanto riguarda le LdP: durante il biennio 2020-2022 è stata, infatti, osservata ed evidenziata una correlazione tra infezione respiratoria da COVID-19 e sviluppo di lesioni da pressione.

Diversi studi e testimonianze parrebbero andare in questa direzione. Ad esempio, l'European Pressure Ulcer Advisory Panel riferisce che, nel 2020, la prevalenza delle lesioni da pressione acquisite in ospedale (HAPI) tra i pazienti in terapia intensiva, a New York, era significativamente più alta nei pazienti positivi per COVID-19; anche uno studio condotto in un ospedale terziario spagnolo ha rilevato un’incidenza quattro volte più alta di lesioni da pressione nei pazienti affetti da COVID-19.

Cos’è il COVID-19 e qual è la correlazione con le lesioni cutanee

Il COVID-19 è una malattia respiratoria causata dal virus SARS-CoV-2 che colpisce il sistema respiratorio, provocando una sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) nei casi più gravi.

Le raccomandazioni della letteratura per il trattamento dell'ARDS includono la ventilazione polmonare protettiva e la posizione prona (PP): l'inizio precoce della PP con sessioni prolungate (>16 ore), infatti, ha dimostrato di ridurre la mortalità in questi pazienti. Ciò perché, la pronazione, in pazienti con sindrome da distress respiratorio acuto grave, è in grado di migliorare le funzionalità respiratorie attraverso l’aumento dei livelli di ossigenazione. Le indicazioni per il posizionamento in pronazione sono: ARDS da moderate a grave con un rapporto PaO2/FiO2 <150 mmHg e una FiO2 ≥ 0,64.

Posizione prona e sviluppo delle LdP

Pertanto, durante la pandemia da Covid-19 la posizione prona è stata utilizzata, nei reparti di terapia intensiva, in percentuale significativa per migliorare la prognosi dei pazienti positivi con difficoltà respiratorie acute gravi.

Tuttavia, nonostante i vantaggi respiratori, i dati in letteratura dimostrano che la pronazione sia significativamente correlata a complicanze quali: edema facciale, lesioni del plesso brachiale, lesioni da pressione (incluse lesioni correlate alla presenza di device) etc. Si è visto, infatti, che tra il 14% e il 57% (percentuale molto variabile nei diversi studi) dei pazienti allettati in posizione prona sviluppa delle lesioni da pressione, il che la rende una delle complicanze più frequenti.

Si è visto, inoltre, che il COVID-19 innesca una significativa cascata infiammatoria, e può comportare ipercoagulazione, disturbi microvascolari e riduzione del flusso sanguigno (la cosiddetta triade di Virchow). I fattori di rischio trombotico, sottolineati nel 2020 anche da EPUAP, spiegano la correlazione statisticamente significativa tra COVID-19 e HAPI, visto che l'ischemia locale è una causa primaria di sviluppo di danno tissutale.

Altri fattori di rischio legati al COVID-19

Ulteriori fattori di rischio evidenziati in letteratura come strettamente collegati alla positività al COVID-19 sono:

  • riposizionamento limitato causato da instabilità emodinamica o profonda ipossia;
  • uso della posizione prona come terapia adiuvante: le principali variabili associate ad un aumento del rischio di lesioni da pressione in posizione prona in diversi studi si sono rivelate essere il numero totale di giorni sotto cicli di pronazione e il mantenimento della pronazione per più di 24 ore;
  • aumento dell’utilizzo di device: tubi per tracheostomia, sondini per l’alimentazione e dispositivi per la somministrazione di ossigeno;
  • fattori intrinseci: comorbilità, sesso, età, assenza di mobilità; le malattie correlate allo sviluppo di Ldp nei pazienti COVID-19 e statisticamente più frequenti sono state ipertensione arteriosa e diabete mellito;
  • condizioni della cute: infatti, come succede per molte infezioni virali, nei pazienti con infezione da COVID-19 (sia adulti che bambini di età compresa tra 6 e 17 anni) sono state documentate una serie di manifestazioni cutanee, tra cui eruzioni cutanee eritematose, orticaria diffusa e vescicole simili alla varicella, esponendo la cute ad un rischio maggiore di sviluppare lesioni da pressione (anche per difficoltà diagnostica); molte delle lesioni cutanee documentate comportano lesioni simili a vasculiti periferiche. Sono state altresì documentate ipercoagulabilità, trombosi intravascolare e ischemia acuta degli arti: tutti questi fattori aumentano il rischio di danno tissutale da pressione in sedi periferiche e sono stati associati ad un aumento della mortalità; Black et al. suggeriscono che tali casi richiedono un'attenta valutazione, in particolare in assenza di evidente carico di pressione, prima di essere classificati come danno da pressione;
  • durata della degenza in terapia intensiva, e nei reparti riabilitativi;
  • presenza/assenza di infermieri specializzati ed esperti in wound care.

Parallelamente, vanno presi in considerazione alcuni fattori estrinseci direttamente correlati alla pandemia, come risorse sanitarie limitate, mancanza di attrezzature adeguate (superfici di supporto, dispositivi antidecubito) o di prodotti per la cura della cute e delle lesioni, isolamento respiratorio, oltre che carenza di personale infermieristico, sovraccarico assistenziale, elevato turnover e necessità di formazione per il personale ridistribuito.

Gli studi condotti durante la pandemia

È stato condotto uno studio caso-controllo presso l’ospedale Gregorio Maranon di Madrid durante la pandemia di COVID-19, tra aprile e maggio 2020, su un campione di 74 pazienti positivi all’infezione, ricoverati in unità di terapia intensiva e trattati con ventilazione meccanica invasiva (57 casi e 17 controlli). La prevalenza rilevata era pari al 77%, più alta rispetto alla media degli studi presi in considerazione a causa delle criticità organizzative presenti nella struttura studiata durante la pandemia; si è visto che le lesioni acquisite a seguito della pronazione (PPPS) erano legate alle caratteristiche della manovra, al precedente stato nutrizionale, al posizionamento prono costante per > 24 ore (aumento significativamente la presenza di PPPS (OR: 2,88 e p=0,015) e il numero totale di giorni di terapia in pronazione.

Gli interventi proposti in letteratura

Nel 2020 è stato pubblicato uno studio sul Journal Wound Care che riportava alcuni interventi mirati basati sulle linee guida pubblicate dalla Intensive Care Society e sul documento di consenso NPIAP: tali interventi sarebbero da inserire all’interno di un programma strategico, e risulterebbero efficaci per la prevenzione delle lesioni da pressione nei pazienti in ventilazione meccanica sottoposti a pronazione; consistono in:

  • monitoraggio dello stato cutaneo prima e dopo il posizionamento del paziente, in caso di pronazione prolungata per necessità oltre le 24 h e gestione dell’umidità (associata a identificazione del rischio e valutazione clinica globale);
  • implementazione dei protocolli di posizionamento per ridistribuire le pressioni esercitate sul corpo (associato all’utilizzo di dispositivi antidecubito appropriati, cuscini antidecubito, posizionatori per la testa con spazio per device respiratori);
  • utilizzo di medicazioni preventive quali idrocolloidi, silicone o pellicole trasparenti da applicare nei punti anatomici più a rischio su viso e corpo (associato a cura della cute e utilizzo di medicazioni appropriate se presente lesione);
  • formazione di team multidisciplinare esperto dedicato alla cura e alla prevenzione delle lesioni.

Questi suggerimenti risultano sovrapponibili a quelli proposti da una revisione sistematica di 16 studi su un totale di 7.696 partecipanti in 7 paesi (di cui otto sono stati condotti in Cina, due in Spagna, cinque nel Regno Unito, Australia, Italia, Malesia e Francia), da cui si deduce l’importanza anche del riposizionamento ogni due ore del paziente pronato e del riposizionamento della testa 2 o 3 volte durante una sessione di pronazione. Inoltre, questa revisione mette in luce una criticità relativa all’uso dell’idrocolloide come medicazione preventiva a causa della sua forte viscosità, che potrebbe, in caso di lesioni già in atto, danneggiare ulteriormente il tessuto al momento della rimozione; alcuni autori, presi in considerazione dalla revisione, hanno inoltre suggerito come alternativa l’uso di un cerotto in pasta di benzalconio cloruro prima di posizionare i device.

Si rendono necessari ulteriori studi di approfondimento per indagare l'impatto della carenza di personale sulla prevenzione e la cura delle lesioni, sia durante che dopo la pandemia; e per lo sviluppo e la promozione di linee guida standardizzate basate su prove di efficacia per la prevenzione e la gestione di HAPI, che tengano in considerazione le eventuali criticità cliniche che potrebbero comportare simili condizioni patologiche.

A questo link è possibile visionare le indicazioni e le raccomandazioni basate sull’evidenza pubblicata da NPIAP nel 2020 per i pazienti sottoposti a pronazione, a rischio di sviluppare lesioni da pressione.

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