Le lesioni da pressione e il paziente chirurgico
L’insorgenza di una lesione da pressione associata all’assistenza nei differenti setting di cura è uno degli eventi avversi più comuni e, al tempo stesso, prevenibili: si parla di circa il 95% dei casi.
Impatto delle LdP sul paziente
Lo sviluppo di LdP può avere ripercussioni considerevoli sulle condizioni cliniche del paziente, sul disturbo dell’immagine e della sfera emotiva e sociale: questa condizione infatti comporta o può comportare dolore, perdita della funzionalità motoria, perdita di liquidi maleodoranti, estensione temporale del ricovero, necessità di ulteriori trattamenti o interventi chirurgici o amputazione, aumento della morbilità e della mortalità, e il suo impatto si ripercuote anche sui costi del Sistema Sanitario Nazionale.
Prevenzione e protocolli post-operatori: a che punto siamo?
Ormai è opinione condivisa, nel mondo del Wound Care, che l’approccio preventivo nella gestione del paziente a rischio costituisca la strategia più valida ed efficace nel raggiungimento degli outcome desiderati. Ciò è possibile solo mediante l’elaborazione di appropriati protocolli personalizzati costruiti sulla base di un’attenta e precisa valutazione del paziente.
Tuttavia, nella pratica spesso questa tematica viene trascurata in setting come il Dipartimento Operatorio o di Emergenza/Urgenza (Pronto soccorso), sebbene all’interno degli stessi siano presenti pazienti con complessità cliniche tali da esporli ad un elevato rischio di sviluppare lesioni da pressione.
Infatti, le lesioni che si sviluppano nel periodo post-operatorio, secondo quanto uniformemente riportato in letteratura, non sono trascurabili. Queste, altresì, rappresentano un importante indicatore di qualità dell’assistenza erogata nel contesto peri-operatorio. Si è visto che lo sviluppo di lesioni sui pazienti sottoposti a interventi chirurgici ha un impatto grave poiché determina anche un aumento del rischio di sepsi, polmoniti ed eventi avversi che aumentano il tasso di mortalità.
Il tasso di incidenza delle LdP correlate a interventi chirurgici
L’incidenza di lesioni da pressione correlate agli interventi chirurgici varia nei diversi contesti sanitari in un range compreso tra il 1,3 e il 54,8%. La prevalenza di questo fenomeno è maggiormente evidenziata nelle donne e le lesioni prevalentemente riscontrate sono di I-II stadio; meno frequenti risultano invece le lesioni da pressione di III-IV.
La maggior parte delle lesioni si sviluppano nelle zone in corrispondenza di prominenze ossee, per cui sacro e talloni sono le sedi anatomiche principalmente colpite e a seguire gli altri siti anatomici quali dorso, padiglione auricolare, tuberosità ischiatica, malleolo, trocantere, occipite, e in misura minore sono state osservate lesioni da pressione su arti inferiori e superiori; con una variazione della prevalenza percentuale per sede tra gli studi presenti in letteratura, in base ai setting analizzati.
Da uno studio condotto in Brasile è emerso che la percentuale maggiore di pazienti chirurgici che sviluppavano lesioni da pressione era sottoposta a interventi di neurochirurgia e chirurgia dell’apparato intestinale. Non solo: un report dei servizi Medicare e Medicaid, due programmi assicurativi sanitari, ha rivelato che Medicare paga circa 146 milioni di dollari l'anno per coprire il trattamento di sei condizioni correlate all’assistenza ospedaliera, comprese gravi lesioni da decubito, le quali avevano il secondo costo più alto per episodio.
Eziologia multifattoriale delle LdP nel post-operatorio
I fattori che influenzano il rischio di sviluppare lesioni da pressione nel periodo post-operatorio sono correlabili a:
- le caratteristiche intrinseche del paziente (età, basso o alto BMI, insufficienza renale acuta, compromissione circolatoria, malnutrizione calorico-proteica, livelli bassi di ematocrito preoperatorio, diabete);
- la tipologia e alla durata dell’intervento chirurgico (> 3 ore);
- la posizione intraoperatoria, anche se alcuni studi non hanno riscontrato questa correlazione ma hanno posto l’accento su una comune predisposizione a sviluppare LdP in corrispondenza delle prominenze ossee;
- tipo di anestetico usato e all’insorgenza di eventuali episodi ipotensivi durante la procedura chirurgica;
- ipotermia;
- uso di circolazione extracorporea intraoperatoria;
- la superficie di supporto e al mancato uso di adeguati device di posizionamento per scaricare le pressioni di interfaccia.
- la durata di permanenza nei reparti di terapia intensiva o al tempo di degenza generale.
Inoltre, bisogna considerare che in alcune circostanze il paziente viene immobilizzato a letto già ore prima dell’intervento chirurgico e in alcuni casi clinici (come nel caso di paziente incosciente) quest’ultimo non è in grado di percepire e comunicare il discomfort.
Diversi studi più recenti, inoltre, hanno rilevato una correlazione statisticamente significativa tra alti livelli di lattato, bassi livelli di albumina e sviluppo di lesioni da pressione. Infatti, è noto che i livelli di lattato sono associati all’ipoperfusione tissutale e all’aumento dei tassi di morbilità e mortalità. Pertanto, il lattato può essere un utile biomarcatore per prevedere il rischio di sviluppare una lesione da pressione.
Altri fattori riscoperti come influenti nello sviluppo di un danno tissutale sono:
- perdita di sangue intraoperatoria,
- uso del ventilatore in post-operatorio
- APACHE 2 score in post-operatorio.
Il movente che porta allo sviluppo di lesioni post-operatorie è, dunque, multifattoriale.
Pank bench position e rischio di sviluppare lesioni da pressione
Una delle posizioni intraoperatorie a più alta incidenza di sviluppo di lesioni da pressione è la Pank bench position, posizione laterale specifica degli interventi di neurochirurgia. In questa posizione, poiché il paziente è in decubito laterale e l’area di contatto è dimezzata, le pressioni di interfaccia sono molto più elevate; inoltre, l’ipotermia raramente occorre, perché il paziente viene ricoperto con device riscaldanti che mantengono alti livelli di temperatura per prevenire eventi avversi. L’aumento della temperatura interna provoca un aumento ulteriore della temperatura locale cutanea a contatto con il tavolo operatorio.
È stato dimostrato che l’aumento della temperatura locale di 1°C aumenta il metabolismo cellulare tissutale e la richiesta di ossigeno e nutrienti del 10%, ciò associato a una ridotta risposta di flusso secondaria alla elevata pressione di interfaccia (nettamente superiore alla pressione capillare), che si sviluppa tra il paziente e il tavolo operatorio, comporterebbe ipossia tissutale. Questo fenomeno va in contraddizione rispetto alle unità generali, poiché solitamente l’ipertermia potrebbe essere un fattore protettivo in quanto causa vasodilatazione e quindi incremento di flusso e ossigenazione. Inoltre, l’eccessiva sudorazione (secondaria all’ipertermia o agli effetti delle citochine indotte dall’invasività chirurgica e da anestesia) può essere associata alla presenza di umidità cutanea, che indebolisce i legami crociati tra le fibre di collagene nel derma e favorisce la fragilità cutanea.
A causa dell’elevazione della testa del paziente e dell’inclinazione del tavolo operatorio per proteggere il campo visivo del chirurgo si generano, inoltre, forze di taglio e scivolamento che in associazione all’umidità e al ridotto apporto ematico incrementano la possibilità di sviluppare lesioni da pressione.
Queste osservazioni suggeriscono che una buona strategia per prevenire le IAPU (intraoperatively acquired pressure ulcer) in questa posizione chirurgica consiste nel mantenere la temperatura interna del paziente ad un livello appropriato e gestire la sudorazione, anche durante interventi chirurgici prolungati.
Il ruolo fondamentale della prevenzione contro l’insorgenza delle LdP nei pazienti post-operatori
La necessità di implementare le manovre preventive, in questi setting assistenziali, risulta imperativa.
Innanzitutto, bisognerebbe ricavare dati oggettivi e tracciabili relativi alla consapevolezza degli operatori sanitari in tema di lesioni da pressione, e di quali siano le misure preventive corrette da adottare
Uno studio in letteratura ha, per esempio, approfondito le manovre di prevenzione applicate nella realtà assistenziale di un ospedale terziario cinese rilevando che:
- il risk assesment e il posizionamento a letto erano procedure correttamente eseguite secondo linee guida internazionali ma…
- skin care, screening nutrizionale, uso corretto delle superfici antidecubito e educazione al paziente non erano pratiche correttamente svolte!!
Una buona prevenzione dovrebbe prevedere:
- un iniziale accurato risk assessment del rischio di sviluppare lesioni da pressione al momento della presa in carico prima dell’intervento chirurgico, da documentare;
- la protezione delle prominenze ossee dalle forze di pressione, attrito e taglio mediante opportuni device di posizionamento;
- il riposizionamento a intervalli regolari durante la procedura chirurgica quando possibile mantenendo stabilità e visibilità del campo operatorio, da documentare;
- programmazione di una nutrizione orale mista supplementare ad alto contenuto proteico e alimentazione tramite sonda per soggetti ad alto rischio di sviluppare lesioni da pressione, come raccomandato dal National Pressure Ulcer Advisory Panel and Japanese e dalla Society for Parenteral and Enteral Nutrition;
- educazione sanitaria e addestramento continuo al team perioperatorio riguardo la corretta identificazione del paziente a rischio e l’esatta programmazione e applicazione delle misure appropriate e personalizzate di prevenzione (superfici antidecubito appropriate, device di posizionamento, cambio posturale etc.) durante le procedure chirurgiche; infatti, l’infermiere spesso, come si evince dagli studi di letteratura, non aderisce alle pratiche di prevenzione anche per mancanza di conoscenza e consapevolezza del problema; la competenza e la consapevolezza degli operatori sono i principali precursori di una pratica sicura ed efficace; studi riportano che l’uso di strategie infermieristiche preventive nei pazienti individuati come ad alto rischio ha un impatto non solo nella prevenzione delle lesioni da pressione di qualsiasi stadio ma anche nei livelli di marker infiammatori (conta di globuli bianchi, proteina c reattiva, temperatura locale).
- esecuzione di interventi di prevenzione e monitoraggio continuo soprattutto nelle immediate 72 h dopo.
Bisognerebbe comprendere, mediante audit a campione da eseguire con cadenza regolare e monitoraggio continuo, quali siano i limiti della pratica e gli eventuali ostacoli per un corretto approccio al paziente a rischio, al fine di implementare le procedure assistenziali in uso secondo linee guida.
Per quanto riguarda i device di protezione, nonostante la letteratura sia ancora molto scarsa, le raccomandazioni suggeriscono l’uso di una schiuma siliconica multistrato nei pazienti ad alto rischio da applicare nelle zone più soggette alle forze di pressione, attrito, taglio e alla conseguente deformazione meccanica dei tessuti. Infatti, la medicazione in schiuma siliconica multistrato fornirebbe un importante effetto protettivo biomeccanico riducendo la pressione di interfaccia in modo nettamente superiore al film di poliuretano.
Le superfici di supporto da utilizzare, secondo le linee guida, devono essere in grado di ridistribuire la pressione. Tuttavia, esistono ricerche limitate che valutano l’efficacia delle superfici di supporto del tavolo operatorio Negli studi, presenti in letteratura, i tavoli operatori sono dotati più comunemente di materassi in schiuma standard e posizionatori di cotone, mentre posizionatori in gel, materassi ad aria micropulsata o superfici in schiuma viscoelastica sembrerebbero più efficaci nel ridurre al minimo il rischio di insorgenza di lesioni da pressione; tuttavia, ci sono alcuni limiti nella conoscenza della letteratura su quale delle ultime due sia più efficace.
Quando accessibili, le linee guida raccomandano anche l’uso di sistemi di mappatura della pressione per l’identificazione dei punti di picco pressorio e la regolazione conseguente della posizione individuale. Servirebbero studi più ampi per ottenere indicazioni più precise relative ai più corretti e performanti presidi per la prevenzione.
Ridurre l’incidenza delle lesioni da pressione costituisce un dovere, una responsabilità e un obiettivo da perseguire per il nostro Sistema Sanitario, pertanto, non ci resta che metterci a lavoro!
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