La vitamina D: l’importanza per la salute e l’influenza sul processo di guarigione delle lesioni

La vitamina D: l’importanza per la salute e l'influenza sul processo di guarigione delle lesioni

La vitamina D è uno steroide liposolubile, le cui forme più rappresentate in natura sono vitamina D2 (ergocalciferolo) e vitamina D3 (colecalciferolo). 

Entrambe possono essere assunte con l’alimentazione come fonte minore rispettivamente attraverso cibi di origine vegetale e animale, sebbene la vitamina D3 sia anche - unica tra le vitamine - sintetizzata dall’organismo stesso, e più precisamente dalla pelle, a seguito dell’esposizione alle radiazioni ultraviolette B (UV-B). 

La vitamina D viene assorbita a livello intestinale per passare poi nel circolo ematico e viene inoltre metabolizzata attraverso il fegato in calcifediolo 25(OH)D e idrossilata nei reni o in alcuni tessuti extrarenali nella sua forma biologicamente attiva, ossia calcidiolo (molecola con attività autocrina, paracrina e endocrina). Si stima che circa l’80-90% del fabbisogno di vitamina D sia soddisfatto dalla produzione endogena cutanea di vitamina D3.

Il ruolo della vitamina D 

La vitamina D svolge molteplici funzioni; sebbene sia nota soprattutto per il mantenimento dell’omeostasi di calcio e fosfato e per il suo ruolo determinante nella mineralizzazione ossea, questo steroide assolve altre preziose funzioni:

- garantisce l’assorbimento di calcio e fosforo a livello intestinale; 

- favorisce il riassorbimento di calcio nel tubulo distale dei reni;

- svolge un ruolo determinante nello sviluppo della struttura ossea.

Nel corso degli anni diversi, poi, studi clinici hanno portato alla luce ulteriori attività biologiche della vitamina D. Infatti, è stato dimostrato un suo effetto benefico nella prevenzione di:

- rischio di malattie cardiovascolari

- cancro (per il suo effetto soppressivo sulle cellule tumorali in particolar modo di mammella, prostata, colon e pelle); 

- sclerosi multipla

- diabete.

Inoltre, la vitamina D è un potente immunomodulante, dimostrato anche nella recente pandemia da Covid-19. Infatti, è stato rilevato che una supplementazione adeguata di vitamina D ha un impatto rilevante nella modulazione del dolore neuropatico, con un miglioramento statisticamente significativo della sintomatologia dolorosa e quindi della qualità di vita del paziente. Tuttavia, in letteratura i dati al riguardo sono ancora discontinui e carenti per cui sono necessari ulteriori studi su campioni ampi per dare maggiore forza a tali evidenze scientifiche.

Carenza di vitamina D: cause e conseguenze

La carenza di vitamina D è un problema rilevante nella popolazione mondiale, che risulta spesso sottostimato per mancata diagnosi.

In Italia, negli anni, sono stati condotti diversi studi che hanno analizzato lo stato di vitamina D in soggetti con diverse fasce di età e condizioni di vita, evidenziando una prevalenza di ipovitaminosi nella popolazione anziana, nella popolazione femminile e tra i soggetti sovrappeso e obesi.

Carenza di vitamina D: cause principali

La causa principale di un deficit di vitamina D è la mancanza di esposizione solare, quindi, correlata alla localizzazione geografica, alle tradizioni culturali (presenza di indumenti che non lasciano porzioni di cute esposte al sole) e all’età. L’invecchiamento cutaneo comporta, inoltre, una riduzione della produzione del precursore della vitamina D3 nella pelle; in questi casi, quindi, l’integrazione orale risulta fondamentale

Ulteriori deficit di vitamina D potrebbero essere causati da disturbi gastrointestinali (ad esempio celiachia, ostruzioni biliari, sindrome infiammatoria intestinale, interventi resecativi), sindromi nefrosiche, mutazioni genetiche degli enzimi responsabili del suo metabolismo, assunzioni di farmaci in grado di alterarne il metabolismo o ridurne l’assorbimento.

Carenza di vitamina D: conseguenze

I sintomi della carenza di vitamina D sono correlati principalmente al compromesso metabolismo di calcio e fosfato, per cui nella popolazione pediatrica la principale manifestazione è determinata dal rachitismo, in cui si hanno tipici difetti di ossificazione principalmente diffusi nelle ossa lunghe e deformità ossee. 

Nella popolazione adulta, invece, carenze di vitamina D comportano lo sviluppo di osteomalacia e osteoporosi, con tipica demineralizzazione ossea e aumentato rischio di fratture.

La vitamina D è, inoltre, coinvolta anche nel trasporto di calcio a livello cerebrale, nello sviluppo neuronale e nella protezione dai radicali liberi dell'ossigeno (ROS); per questo motivo, si crede ci sia una correlazione di una sua carenza anche nello sviluppo di disturbi neurologici come la sclerosi multipla. 

Poiché il recettore della vitamina D è stato riscontrato su molteplici tessuti e organi, negli ultimi anni, si è diffusa sempre più l’idea che una carenza significativa di vitamina D possa essere un fattore potenzialmente determinante in altre malattie come sopra riportato.

Prevenzione, diagnosi e trattamento della carenza di vitamina D

La prevenzione primaria della carenza di vitamina D è oggetto di dibattito nelle politiche sanitarie a livello nazionale.

Vi è unanimità nel considerare la concentrazione plasmatica totale di 25(OH)D come test primario per individuare un’eventuale carenza di vitamina D, sebbene non esista un consenso per quello che può essere considerato un valore di “normalità”. Alcuni studi riportano la seguente classificazione nella popolazione generale:

- carente un livello di 25(OH) < 10 ng/mL;

- insufficiente se il livello di 25(OH) è < 20 ng/mL;

- ottimale se compreso tra 20/30-50 ng/mL.

In casi selezionati, in compresenza di altre malattie correlate, dove i livelli di 25(OH)D sono molto bassi, viene suggerito il dosaggio di calcio sierico, fosfato, ALP, PTH, magnesio e creatinina per lo screening di ulteriori diagnosi associate a bassi livelli di vitamina D e l’adeguato trattamento.

Nei soggetti ad aumentato rischio di fratture, ossia donne sopra i 65 anni o in post-menopausa, uomini sopra i 75 anni, soggetti che assumono farmaci o presenza di malattie che comportino una perdita ossea, viene suggerita l’esecuzione del test di densitometria ossea mediante DXA alla colonna vertebrale e all'anca.

In letteratura, esiste un divario enorme tra le raccomandazioni delle diverse società nutrizionali in merito alle assunzioni dietetiche di riferimento, nonché le concentrazioni target di 25(OH)D. L’unico dato univoco riscontrabile è l’indicazione al trattamento in caso di livelli sierici inferiori a 20 ng/mL (50 nmol/L). 

Come si cura la carenza di vitamina D

Il trattamento di prima linea per la carenza di vitamina D, nella maggior parte dei pazienti, è considerato il colecalciferolo per via orale, in quanto sia l’integrazione alimentare che una maggior esposizione al sole non sono sufficienti ad ottenere livelli ottimali di vitamina D, nei casi di grave carenza.

Anche sui dosaggi e le indicazioni terapeutiche, le società internazionali non mostrano una linea di condotta univoca; in linea generale, va sempre tenuto in considerazione lo stato clinico generale e diversi altri fattori del paziente stesso. 

Una pubblicazione del 2018 dell’Associazione Americana di Endocrinologi Clinici suggerisce l’integrazione di vitamina D come segue: 

- in caso di carenza e insufficienza: 50.000 UI una volta alla settimana per 8 settimane; in alternativa, una dose giornaliera di 5000 UI per 8 settimane;

- per il mantenimento della sufficienza: 50.000 UI due volte al mese; in alternativa, una dose giornaliera di 2000 UI.

L'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, inoltre, ha fissato un limite massimo tollerabile per l'integrazione di vitamina D di 4.000 UI al giorno negli adulti.

L'integrazione orale va attentamente valutata da personale medico dedicato, in quanto viceversa si potrebbero verificare episodi di ipervitaminosi (con livelli ematici di 25(OH)D superiori a 150 ng/ml) che potrebbero comportare rischi gravi per il paziente.

La correlazione tra la vitamina D e la guarigione delle lesioni da pressione

La guarigione delle lesioni da pressione è un complesso di eventi cellulari che possono essere didatticamente distinti in tre momenti: fase infiammatoria, fase proliferativa e fase rigenerativa.

Molteplici possono essere le cause che compromettono questo susseguirsi di eventi, determinando un rischio molto alto di cronicizzazione della lesione. Le lesioni croniche impattano sulla vita di milioni di persone in tutto il mondo, specialmente sulla popolazione anziana; determinano una spesa importante per la sanità nazionale e minano seriamente la qualità di vita dei pazienti affetti.

La vitamina D, come abbiamo visto, ha una potente azione antinfiammatoria e immunomodulante utile durante tutte le fasi del processo di guarigione delle lesioni da pressione e soprattutto per la protezione da agenti infettivi; inoltre, insieme al calcio è coinvolta nei processi di proliferazione cellulare e differenziazione sia dei fibroblasti che dei cheratinociti. 

La malnutrizione è stata riconosciuta come un fattore di rischio predisponente l'insorgenza e la cronicizzazione delle lesioni da decubito: evidenze scientifiche portano alla luce la correlazione tra proteine e guarigione di una lesione, e lo stesso vale per i micronutrienti. 

Uno studio retrospettivo di coorte condotto su un totale di 402 pazienti ammessi nei reparti di terapia intensiva chirurgica ha individuato una correlazione tra i livelli di vitamina D all’ammissione in reparto e il successivo sviluppo di lesioni da pressione acquisite in ospedale. 

Sarebbero utili ulteriori trial clinici randomizzati per valutare se l'ottimizzazione dei livelli di 25(OH)D nei pazienti può ridurre l'incidenza di lesioni da pressione (siano esse acquisite o meno in ospedale) e migliorare altri risultati clinicamente rilevanti nei pazienti critici. 

Diversi studi, negli ultimi anni, tra cui una revisione del 2023, forniscono prove che i livelli di micronutrienti differiscono significativamente nei pazienti con ulcere del piede diabetico, suggerendo un'associazione tra lo stato dei micronutrienti, quali nello specifico vitamina D e magnesio, e il rischio di svilupparle. Pertanto, il monitoraggio e le integrazioni di routine dovrebbero essere garantiti in questa categoria di pazienti.

La carenza di vitamina D, più in generale, è stata osservata in molti pazienti con lesioni croniche, che quindi non tendono alla guarigione, anche nel caso di lesioni da ustione.

In conclusione, la vitamina D risulta fondamentale per la salute generale, e un’eventuale supplementazione di vitamina D può essere influente per la prevenzione di alcuni stati di morbilità, per il processo di guarigione delle lesioni, e quindi, la prevenzione di alcuni fenomeni, quali infezioni, mancata tendenza alla guarigione, dolore correlato alla lesione, che si traducono in morbilità, mortalità e aumento dei costi sanitari.

Tuttavia, l’integrazione orale non è sempre associata a un beneficio: per questo motivo, un’eventuale scelta di assunzione integrativa e corrispettivo dosaggio dovranno essere valutati attentamente da personale sanitario adeguato all’interno di un piano di valutazione e trattamento personalizzato.

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